Più di una volta sono stata tentata di tradurre in narrativa la mia storia. Fino a che un giorno ho trovato l’alchimia giusta, trasferendo nella prosa l’universalità della poesia. Volevo scrivere una storia che appartenesse sia al lettore quanto a chi scrivesse. Volevo però che il lettore, una volta preso in mano il libro, lo avesse fatto quasi sotto lo stimolo di una astinenza. E quindi leggesse solo per nutrirsi.
Sono linguaggi diversi. Se la scrittura è spontanea, sorgiva intendo è chiaro
che non c’è alcuna differenza. Accolgo le parole come vengono. Per esempio
“Splendi come vita” è venuto così. E in questa forma l’ho lasciato. Serviva una
narrazione al racconto, anziché per folgorazione come invece capita
e procede la poesia. Anche se è un libro impastato di parole poetiche.
Mi lega a lui la trasfigurazione della quotidianità intensa e la presenza
continua di scene di vita agricola della terra, della torba. Ma nello stesso
tempo tutto è trasfigurato da una parte invisibile della realtà. In questo
modo viene esaltata la concretezza della materia.
È interessante questo doppio sguardo e che è una particolarità della sua
poetica.
Mia madre era un’insegnante di lettere. Mi ha cresciuto con la poesia. E
quindi questo suono, questo canto delle parole mi ha sempre accompagnato.
È esploso quando in collegio ho cominciato a studiare filosofia. C’è stato una
sorta di corto circuito che ha creato una zona franca tra le parole. Potevo
allora rielaborare tutto quello che mi accadeva restituendolo poi depurato,
usando un linguaggio più universale. Posso dire quindi che la percezione
dell’universalità all’interno delle creature, ci fa scoprire la poesia.
Con la poesia si raggiunge il nucleo umano. La prosa invece serve per
raccontare. Perciò quando sento invece il bisogno di sprofondare
all’interno una comunità umana, uso la poesia perché la parola si distilla e
diventa poetica.
Nella narrazione c’è una trama. Anche se in questo ultimo libro comunque ho
adoperato più attenzione, dovuta all’esperienza poetica.
Quando i figli sono a scuola e quindi ho tempo libero.
Un libro di Alessandra Lecci. È una storia su Isabella d’Este e su Lucrezia
Borgia. Più propriamente sto studiando.
È un momento incandescente che può nascere da una frase sentita oppure
a casa mentre leggi o scrivi. Non basta questo però. Ci deve essere quella
condizione di vuoto che innesca un bagliore e che tu riconosci come “parole
poetiche”.
C’è un equivoco di fondo. Che la poesia sia facile e chiunque possa scrivere
anche senza aver studiato, letto e scritto. La facilità illusoria genera questo
equivoco. Invece occorrono anni, anni di letture per imparare a riconoscere
la propria voce e il proprio stile. Ora viviamo per esempio nella civiltà della
immagine e tutti ci consideriamo fotografi solo perché pubblichiamo
istantanee della nostra vita. Ma questa non è poesia.
Leggere molto. Anche gli autori contemporanei. E poi scrivere, strappare,
scrivere e di nuovo strappare. Non avere smania di pubblicare. Non avere
fretta. Aspettare che venga il punto di attrito, il punto di incandescenza.
Maria Grazia Calandrone (Milano, 15 Ottobre 1964) una delle scrittrici più interessanti del panorama italiano È una poetessa, drammaturga, giornalista, conduttrice radiofonica. Ecco alcune opere: Giardino della gioia (Arnoldo Mondadori – 2019) Il bene morale (Crocetti – 2017) Serie fossile (Crocetti – 2015 e 2020) Sulla bocca di tutti (Crocetti – 2010) La grande illusione in Princesa (Giunti – 2018) Nella Nobili. Ho camminato nel mondo con l’anima aperta (Solferino – 2018) “SPLENDI COME VITA” (Ponte alle Grazie – 2021) È il romanzo selezionato per il premio Strega 2021. Storia di un amore tormentato tra madre adottiva e figlia. È una narrazione che ci restituisce come uno specchio, una poetessa che ha trovato parole esatte per dialogare con il mondo che la circonda.